mercoledì 26 settembre 2007

il mondo di ieri

giudizio: fiori profumati per chi è consapevole.
Stefan Zweig percepì esattamente la catastrofe, economica, morale e politica, nel momento in cui accadde e seppe con precisione che ne sarebbe stato travolto, insieme a generazioni e nazioni intere. Fu allora che scrisse Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, il racconto di un'epoca. Nato nella Vienna felix di fine Ottocento, conobbe la sicurezza, la ricchezza, l'apertura culturale di quegli anni, per poi vederne il tramonto, il degrado e la fine, tra le due guerre. "Ho conosciuto il grado e la forma più alta della libertà individuale, per vederla poi al più basso livello cui sia scesa da secoli; sono stato festeggiato e perseguitato, libero e legato, ricco e povero". L'idea asburgica di un'Europa unita e pacifica crollava sotto i colpi della prima guerra mondiale, del fascismo e del nazionalismo, delle bombe e dei roghi dei libri. "I più commoventi fra questi individui erano per me – quasi m'avesse già sfiorato il presagio del mio futuro destino – gli uomini senza patria, o ancor peggio, quelli che in luogo di una patria ne avevano due o tre e non sapevano interiormente a quale appartenessero". L'ordine di un tempo, la precisione, la correttezza, il rigore ("ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi") erano persi per sempre, era venuta l'ora del caos, del sopruso, della vendetta e dell'abominio. Non a caso, la testimonianza si ferma al primo settembre 1939, invasione nazista della Polonia, la fine di qualsiasi residua speranza. Tra i primi segni della catastrofe, l'aumento smisurato dell'indebitamento personale, la nascita di istituti finanziari dediti unicamente alla spasmodica concessione di mutui e prestiti, il collasso economico del proletariato e della borghesia, la povertà diffusa a tutti i livelli, l'arricchimento vergognoso di pochi. Ricorda qualcosa? Zweig si uccise nel 1942, esule e apolide. Ma non si tirò indietro, tutt'altro: "testimoniare questa nostra esistenza tutta tensione e drammatiche sorprese, mi pare in dovere, giacché, lo ripeto, ognuno fu costretto a esser testimone di quelle inaudite metamorfosi".
Il libro costa poco e dà moltissimo, non lasciatelo, per favore, tra i libri dimenticati.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

E restando in area di lingua tedesca, vi capitasse fra le mani qualcosa di Kurt Tucholsky, prendete anche quella... Suicida anche lui, solo quattro anni prima; lo associo mentalmente a Boris Vian: acutissimo, ma da una posizione laterale e originale, maestro in certe cose piccole e varie, articoli, poesie (anche lui con vari pseudonimi).
E poi Wolfgang Borchert, che l'orrore della guerra l'ha vissuto nella carne e nell'anima e lo trasmette da una sensibilità profondissima e scorticata, bruciante. "Fuori, davanti alla porta", e molti altri scritti. (Lo strazio del graduato che ha dovuto ordinare un'azione, nella quale alcuni suoi giovani soldati ci hanno lasciato le penne...). Per me: metti lui, "Uomini contro" ed "E Johnny prese il fucile", e solo un decerebrato può ancora contemplare che esista la guerra.

Anonimo ha detto...

A volte ci sono coincidenze che sorprendono.
"Stefan Zweig... nato a Vienna... si uccise... esule e apolide". Poi leggo sull'ultimo numero della Zeit, datato 20 settembre, un articolo su André Gorz: la giornalista è andata a trovare lui e la moglie nel paesino dell'Aube in cui vivono, l'occasione è l'edizione tedesca del suo libro "Lettera a D." dedicato all'amore per la moglie, un amore che dura da sessant'anni. Conversano, prendono il té... e anche lui è nato a Vienna, e anche lui più esule e forse anche apolide non avrebbe potuto essere, e... Dopo qualche riga sobbalzo: capisco che è lui il filosofo che l'altro ieri si è suicidato insieme alla moglie, gravemente malata (aveva lavorato con Sartre, collaborato al Nouvel Obs., ecc...).
E ci sono coincidenze che danno i brividi.
La giornalista, parlando del libro, dice che nell'ultima pagina Gorz enuncia il desiderio che uno dei due non muoia prima dell'altro, che nessuno dei due debba sostare sulla tomba dell'altro. E allora la butta sul mitologico (e Ovidio, e le Metamorfosi, e Filemone e Bauci), mentre Gorz le versa dell'altro té....

trivigante ha detto...

Io Gorz non l'avevo mai sentito nominare finora, il che non è strano, dato che poco frequento i campi arati della filosofia, ahimé. Ma quanto dice siu spalanca qualche baratro nel quale, stando sul ciglio, è opportuno guardare. Vado a studiare.

Anonimo ha detto...

Un aggiornamento sulla vicenda di André Gorz e di sua moglie, essendo uscito il nuovo numero della rivista che riportava l'incontro-intervista (avvenuto, a quanto dice la giornalista, solo due giorni prima del suicidio). Altro che apolide! E già solo nei tanti nomi, che credo sia come non averne nessuno: nasce in Austria come Gerhard Hirsch, da padre ebreo e madre cattolica; il padre poi si converte al cattolicesimo e cambia il cognome in Horst. A 16 anni, nel '39, va in collegio in Svizzera, dove si chiama Gérard Horst. Alla fine della guerra decide di diventare francese e va a Parigi scegliendo di chiamarsi, udite udite, André Gorz in nome della città di Gorizia (in tedesco: Gorz con la dieresi sulla o) perchè la si può considerare insieme italiana, slovena ed (ex)austriaca. E non è finita, perchè da co-fondatore del Nouvel Observateur si chiamerà Michel Bosquet (traduzione di Horst), e con Dorine, la moglie inglese trapiantata a Parigi, parlerà sempre in inglese.
E non venitemi a dire che a volte vi sentite s-paesati!

Anonimo ha detto...

Gorz e la moglie, allo scopo di non infliggere a parenti o amici una sorpresa traumatica, hanno attaccato un biglietto alla porta di casa al fine di allertare (prima) le forze dell'ordine.
Ad ulteriore aggiornamento del parallelismo, ho letto da poco da qualche parte che Stefan Zweig aveva fatto lo stesso.

 
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