giovedì 30 ottobre 2008

Vittorini e Rigoni Stern

giudizio: a buoni maestri servono buoni allievi.
Nel 1951 Rigoni Stern faceva l'impiegato all’Ufficio imposte del catasto di Asiago, Vittorini dirigeva la collana "I Gettoni" di Einaudi. Si incontrarono e fu il secondo a convincere il primo, illetterato ritroso, a scrivere i propri ricordi della campagna di Russia.
Rigoni si mise a scrivere mentre Vittorini lanciava alcuni giovani promettenti. Finita la prima stesura, Rigoni prese il treno da Asiago per Torino e portò il manoscritto a Vittorini. Vittorini glielo fece riscrivere da capo. Rigoni tornò indietro, lo riscrisse e tornò a Torino. Vittorini glielo fece riscrivere. E così una terza, una quarta, una quinta volta. Quante volte Vittorini fece riscrivere a Rigoni "Il sergente nella neve"? Otto. Dico: otto.
Rigoni pensò molte volte di lasciar perdere, non capiva bene l'insistenza e la cocciutaggine di Vittorini, forse aveva sbagliato lavoro, persona o casa editrice. Però riscrisse ogni volta il testo, un contadino di Asiago che ha fatto la Russia non è uno che si ferma di fronte alle prime difficoltà. Ma ancora non capiva fino in fondo dove Vittorini volesse andare a parare. Nel 1953, finalmente, Einaudi pubblicò l'ottava stesura de "Il sergente nella neve", vista, rivista, discussa e stravolta ennesime volte. Fu un successo. Ma questo non importa, fu solo allora che Rigoni comprese la cocciutaggine di Vittorini: ora era diventato uno scrittore. Uno scrittore vero, aveva imparato la lezione. A buoni maestri servono buoni allievi.
Cosa fece lo scrittore Rigoni a questo punto? A parte un piccolo episodio, non scrisse più nulla fino alla morte di Vittorini. Non era più un allievo.

venerdì 17 ottobre 2008

I tortellini bolognesi

giudizio: indescrivibile. Perciò ne scrivo
Non succede spesso di pensare "Cazzo, per 30 anni ho avuto un pregiudizio terribile e mi vergogno, come proverò vergogna per chi continuerà a pensare le stesse cose che pensavo io".
I tortellini. Un quadrato di pasta all'uovo con dentro un quadratino di ripieno a base di carne (di quest'ultimo sono infinite le varianti, una per ogni famiglia, ma di base dentro c'è della lonza di maiale, del prosciutto, della mortadella).
Esistono in due versioni, sostanzialmente: al sugo o in brodo. Al sugo sono quelli che per tutti noi sono sempre stati i tortellini, fondamentalmente confezionati (Rana, coop, Buitoni, tutti buonissimi, insomma, normali).
In brodo non li vuole praticamente nessuno, se non il cugino un po' sfigato o il nonnino di turno, che li mangia nel brodo di dado stracotti e disfati (come all'ospedale). Ecco perchè quando te li propongono in brodo pensi che faresti di tutto pur di non mangiare quella roba triste. Quando proprio non riesci ad evitarli, prima bevi il brodo, poi cerchi di condirli in qualche modo (ovviamente, ci versi sopra la formaggera del grana e abbondante pepe. Li ricondisci asciutti). No, che poi quelli "asiutti" (col ragù, al sugo di pomodoro, burro e salvia, o con pancetta e cipolla) sono tutti buoni. Seriamente, sono più che gradevoli, altro che! Ogni tanto ne hai proprio voglia. Niente tortelli, niente ripieno di zucca, ricotta e noci, ricotta e spinaci, no: carne. Parentesi: quelli panna-e-prosciutto-piselli-e-qualcosaltro no, quelli sono davvero terribili... Vanno bene a mensa e, se proprio non hai alternative, al selfservice...
Poi arrivi a Bologna, ci abiti 5 anni, li ignori così a lungo (appunto: beatamente) e una sera pensi va bene, proviamoli. Trattoria da Valerio in via Avesella 10 (per noi è praticamente il tinello, ma sotto casa. Ambiente più che famigliare: famiglia). E vai: "Per me i tortelini". L'ho detto. Voglio provare. Lo so: non li mangio in brodo da almeno 12 anni (li preparò mia zia). Ovviamente i tortellini sono, per chi non sa, fatti in casa (da una "Sfoglina", o dalla "zdora") e sono, ovviamente minuscoli (per chi sa: "al mignolo").

Che, chiaro, a Bologna, per un Bolognese, per Valerio, i tortelini sono (ovviamente) SOLO in brodo. Banalmente, non ne esiste una versione asciutta. Punto.
Ora, è impossibile descrivere una pietanza sublime. Sarebbe riduttivo e falso. E' anche difficile descrivere come ci si può sentire mentre si gustano. Ma è comunque facilissimo constatare che tutto quello che, comunemente da non bolognesi, si pensa a proposito dei tortellini-praticamente-solo-asciutti è assolutamente, inequivocabilmente, davvero sbagliato, anche se lo pensavi proprio tu.

Per la cronaca, il vero uomo bolognese si distingue perchè se gli dai da mangiare dei veri e buonissimi tortellini in brodo dice sempre: "Buoni, davvero buoni. Però quelli che fa la mia mamma..."
Che io possa avervi ospiti una sera a cena da Valerio, per vedere la vostra espressione incredula smontare i pregiudizi di un'intera civiltà sbagliata. Quella non-bolognese.
Per capire quanto contino i tortellini e chi li sa preparare, per i bolognesi, suggerisco di sfogliare (he he) la proposta di legge per la valorizzazione e la promozione della "sfoglia emiliano-romgnola" e del mestiere di "sfoglina/o"
http://www.grillini.it/show.php?2782

giovedì 16 ottobre 2008

I vicini di casa

giudizio: una torta avvelenata.
I vicini di casa sono, invariabilmente, dei rompicoglioni. Vuoi perché ascoltano musica etnica, o perché hanno orari balzani, o figli lamentosi, o automobili cafone, oppure perché fanno il bucato di notte o perché in casa stanno comodi con gli zoccoli olandesi. In pratica, perché esistono.
Secondo un ovvio principio di reciprocità, chiunque di noi è vicino di casa di qualcun altro, motivo per il quale chiunque di noi può essere ascritto alla categoria dei rompicoglioni. Perché a me piace ascoltare l'hard rock a tutto volume, cucinare molti quintali di cavolo e mettere la posta religiosa che ricevo nelle cassette altrui. Mi esprimo quasi liberamente, io non dò fastidio.
Non c'è scampo, da un punto di vista complessivo siamo tutti dei rompicoglioni, seppur con differenze non lievi. Nonostante alcune persone siano più che civili, l'eccessiva vicinanza crea danno: non sono certo che la visita iniziale con tanto di torta appena sfornata sia una dichiarazione di cortesia, quanto piuttosto una sarcastica dichiarazione di guerra futura. Prima o poi verrà l'assemblea condominiale. Visti dall'esterno, dunque, siamo una specie, tutta, che tende con una certa pervicacia a devastare l'ambiente circostante, persone incluse.
Soltanto in virtù di queste spiegazioni è possibile comprendere appieno l'iniziativa dell'Accademia russa di Scienze: poiché è stato scoperto di recente Gliese 581c, un pianeta molto simile alla Terra, sufficientemente vicino per essere considerato contiguo, dotato forse di aria e acqua, il professor Zaitsev - attenzione: a nome nostro - ha ben pensato di cominciare a inviare trasmissioni radioastronomiche in direzione dei Gliesiani, ammesso che esistano, informandoli delle nostre attività e caratteristiche più svariate, per esempio inviando immagini della campagna elettorale americana e spiegando che noi abbiamo un naso e il sedere tagliato in due. Le trasmissioni arriveranno a destinazione tra vent'anni e, secondo il tizio, si tratta di un «approccio democratico alle comunicazioni con gli extra terrestri».
Eccoci giunti, dunque, all'equivalente galattico della torta di buon vicinato: non invitati infestiamo il citofono, la cassetta di posta e il telefono dei nostri vicini, proponendo loro le nostre belle iniziative, facendogli vedere le foto dei figli e mostrando la nostra innegabile simpatia. Poiché loro non si fanno avanti, i timidoni (cito: «c’è sempre la possibilità che fra le varie presunte intelligenze extraterrestri prevalga un atteggiamento passivo, di preferire che per primi si espongano gli altri, piuttosto che manifestarsi subito»), noi siamo più disinvolti. E chi se ne frega se non potranno più ascoltare la loro radio preferita perché occuperemo le loro frequenze, non ci importa.
Siamo troppo simpatici, noi, per frenarci. Vicini di casa, appunto.

martedì 7 ottobre 2008

La scelta della sede.

giudizio: oltraggioso.
Che si sia un governo o un'industria, un partito, una casa di moda, un dittatore, un geometra arricchito o un ente statale, la scelta della propria sede risulta essere decisiva per l'immagine e il significato che si vuole dare all'esterno della propria azione. La cosa è più che nota, ai consci e agli inconsci, tant'è che nessuno si sottrae alla ferrea legge: una sede ammirata, riverita, imponente il giusto, trasmette direttamente a chi la sede la occupa ammirazione, riverenza, imponenza, garanzia di buona attività, quale essa sia. E non a caso, ancora, si sceglie spesso prima la sede del nome, o prima la sede di tante altre cose, solo apparentemente più importanti.
Eccezionali alcuni casi esemplari, nei quali la sede scelta è diventata sinonimo di ciò che vi sta dentro: La Santa Sede, sede per eccellenza e inarrivabile, o il Cremlino, il Pentagono, la Casa Bianca e, nel suo piccolo, il Quirinale. Oppure, in politica o in affari, Mirafiori, Piazza del Gesù, Botteghe Oscure, Palazzo Marino, l'8 di Downing Street e così via. In altri casi, la scelta della sede fu talmente azzeccata da riversare sugli occupanti caratteristiche virtuose non necessariamente meritate: ad esempio, il palazzo di vetro dell'ONU, oppure la sede lacustre dell'ENI all'EUR, simboli di modernità e di efficienza. E poi che dire delle sedi diventate leggendarie nell'immaginario collettivo? La Bat-Caverna, per esempio, o gli studi della EMI ad Abbey Road, con tanto di mela, oppure ancora la Moneda di Allende a Santiago, e che dire del deposito cubico di Paperone o della reggia di Versailles? Nel suo piccolo, anche il modesto ma significativo contribuente sceglie di costruirsi una sede adatta alle proprie ambizioni ed è per questo motivo che sorgono le villette neo-geometra su collinetta che nasconde parcheggio e taverna, a fianco del capannone dell'aziendina, nel panorama omogeneo della pianura padana. Insomma, scegliersi una sede adeguata è il primo passo per un successo durevole e robusto, ricco di gratificazioni e di entrate pecuniarie, non c'è dubbio.
E' alla luce di tutto questo che va vista la decisione di D'Alema di posizionare la sede della sua neonata RED TV (canale 890 di Sky, guidata dalla baledda Annunziata) nel seminterrato di Palazzo Grazioli a Roma. Il riverbero dei piani superiori, sia in fatto di politica che di televisione, garantisce la riuscita dell'impresa nei piani bassi. Bravo a D'Alema che ha compreso l'importanza di avere una sede adeguata alle proprie ambizioni. E poi potrà sempre chiedere consiglio all'inquilino del piano di sopra, oltre allo zucchero.

 
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