domenica 28 settembre 2008

A destra della cultura

giudizio: il fascista, la scrittrice e il cantante.
Passeggiavo sbadatamente per Roma una sera, quando sono stato rapito da luci e suoni provenienti da un colle. Giunto là, ovvero sul Campidoglio illuminato a gran gala, ho potuto assistere a un incosciente discorso di celebrazione in onore di Oriana Fallaci, tenuto ovviamente dal primo sindaco fascista di Roma. Ho così potuto apprendere che l'intera serata era dedicata all'iraconda Fallaci e il repertorio degli interventi (due) può essere così riassunto: otto sostantivi "coraggio, libertà, eredità, libri, scrittura, scrittrice, giornalista, Italia" e un solo aggettivo, "straordinario", declinato a seconda del genere. Il disagio e l'impreparazione erano palpabili, si celebrava postumo una specie di tumulo imbiancato riferibile all'area culturale di destra, ovvero un obelisco storto nel nulla del deserto, senza che si disponesse di qualche strumento apposito, per esempio qualcuno che avesse letto 'sti benedetti libri. Era un elogio vago e confuso, monoaggettivato, che potrebbe calzare ai caduti papalini di Porta Pia come alla Fallaci o a Tatarella. Magari si parlasse del camerata Ramelli. Esaurito il faticosissimo discorso, Alemanno si è seduto per gustarsi il fulcro della serata, un concerto-recital dell'unico cantante disponibile sulla piazza a celebrare la Fallaci: Amedeo Minghi. Califano sembrava oggettivamente una scelta poco culturale. E Minghi, per il quale non corre alcuna differenza tra la sagra del fagiolo lucano, San Remo e la Fallaci, ci ha dato dentro, con il medesimo repertorio di sostantivi e aggettivi, a ricordare la grandezza della stessa. Purtroppo, però, non avendo mai scritto nulla di adatto alla serata, ha dovuto ascendere specchi e cime impervie, pur di cantare le sue canzoni: "ho scritto questa canzone settantacinque anni fa, però è un po' come se l'avessi scritta per Oriana, perché parla di un'aquila che punta la preda, esattamente come faceva Oriana con la notizia, la osservava da lontano e la ghermiva con artigli rapaci". Per dire, poi ovviamente la canzone non quagliava per nulla. Alla quinta canzone non congrua, va ben pur il dovere di cronaca, mi sono osservato, io a un concerto di Minghi in una serata in onore della Fallaci: non quadrava e quindi me ne sono andato. Ho osservato un'ultima volta la platea, per fortuna andata semi-deserta, e mi sono allontanato, mentre i pochi si spellavano visibilmente le mani.
Questo è più un racconto che una recensione, lo so, sarebbe facile fare dell'ironia sullo iato tra il contenitore (Michelangelo, Roma) e il contenuto (Minghi, la Fallaci e un po' di fascisti), citare Leopardi e i suoi nani e giganti romani, sghignazzare sull'iniziativa sbilenca e malriuscita e sentirsi decisamente superiori, i fatti parlano da sè. Però resta l'amaro in bocca, una specie di rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato, per tutti i desideri non avverati e per la fatica sprecata, per chi si è tanto impegnato e non ha ottenuto nulla. Anzi, la vicenda intera è beffarda. A dimostrazione, il secondo intervento, tenuto nascosto finora, era di Rutelli, lo sconfitto. Che, in quel contesto, ci stava davvero benino. E il cerchio è chiuso.

venerdì 26 settembre 2008

Della CEI o del significato dei nomi

giudizio: militanza onomastica.
Semplificando, da alcune decadi ormai la CEI risulta essere il braccio operativo dell'ingerenza pontificia nella politica italiana, per voce del suo segretario. Il segretario, appunto, di nomina papale, è il centravanti di sfondamento della politica vaticana, la politica concreta e pragmatica che punta alla parificazione delle scuole cattoliche, all'abrogazione della legge sull'aborto, alla promozione sociale ed economica degli oratori, alla difesa e all'implementazione dei privilegi conciliari e così via. In virtù del proprio ruolo, il segretario della CEI dice ciò che non sta bene che il Papa dica, non ha omologhi che lo contraddicano, utilizza parole e modi da combattimento e, caratteristica peculiare e necessaria, non conosce pudori e cortesie. Se il cardinale Ruini in questo era maestro indiscusso, e il cui nome faceva davvero pensare alle rovine che lasciava dietro di sè dopo i suoi interventi a gamba tesissima, il suo successore Bagnasco, un incoativo che richiamava più una certa disponibilità alla discussione che i fuochi e le fiamme ruiniane, da questo punto di vista non è stato all'altezza del predecessore.
Ora, se i nomi hanno un qualche significato, il reazionario e conservatore Benedetto XVI ha nominato ieri segretario della CEI monsignor Crociata, predestinato evidentemente a un ruolo in prima fila nella sempiterna lotta tra potere temporale e spirituale, tra cattolicesimo e resto del mondo. Nomen omen, pare evidente che gli interventi del neo-nominato saranno contraddistinti dall'elmetto in testa e da una certa propensione alla trincea militante, è bene non attendersi nulla di meglio. E' lecito un risolino per la scelta comica in ragione del nome, come si potrebbe fare un risolino del Manganelli capo della Polizia, ma esaurita la minima vis comica è bene attrezzarsi al peggio e serrare le fila, in attesa dell'ennesima Crociata.

lunedì 1 settembre 2008

La coca cola

giudizio: in 1996 battute.
Esiste un fil rouge che lega il cartello colombiano della cocaina e il Parlamento Federale Indiano, la CIA e i nutrizionisti, Vasco Rossi e i sindacalisti guatemaltechi, le fortune dei Bush e lo scandalo Telecom-Sismi, un fantomatico produttore in Indiana e l'osteoporosi femminile? E ancora: come narrano leggende ormai secolari, esiste un prodotto che, allo stesso tempo, smacchia il sangue dalle magliette, scioglie un'intera bistecca di manzo, toglie il chewingum dai capelli dei pargoli, neutralizza il veleno di una medusa, leva la ruggine dai bulloni ossidati? La risposta, singolare e laconica allo stesso tempo, è: "Sì, la Coca Cola" e si intenda qui sia la bibita gasata sia la perfida multinazionale. Ed è in questa sofisticata distinzione, l'innocente bevanda dalle bollicine sbarazzine da una parte e la fabbrica malvagia che, si dice, disfa governi e acquisisce droga dall'altra, che sta tutta la magia: nessuno, mai, riuscirà a colmare la distanza, concettuale e concreta, tra la prosperosa pin up che invita alla molle digestione e il distributore automatico che operai desindacalizzati hanno portato in luoghi in cui l'uomo bianco nemmeno si sogna di andare. Troppo sovradimensionata l'azienda per non incappare in soprusi e reati di varia natura, troppo diffusa e accessibile la bibita per non finire, almeno una volta, sul tavolino di una festa delle medie. E se il consumo di Coca Cola è da sempre trasversale, da destra a sinistra senza distinzione, anche il rifiuto di essa, simbolico e ideologico, non conosce frontiere: dall'invito a consumare l'italico e fascistissimo chinotto ai CCCP, che le dedicarono ironicamente la copertina di un album doppio. Sebbene i trionfi dei gasati anni Ottanta siano un ricordo lontano, il primato non è in discussione: impossibile per i rivali spodestare la Coca Cola, tuttora insostituibile persino in alcune discipline sportive, come testimoniano soddisfatti i partecipanti al Campionato italiano di rutto parlato e cantato di Reggiolo.

 
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