lunedì 27 luglio 2009

Dave Matthews Band Live, Lucca 5.7.2009

giudizio: che figaataaaa

Piazza Napoleone, nella zona degli sventramenti ottocenteschi, fino a domenica 5 luglio 2009 era la piazza meno bella di Lucca. Sarà stato facile montarci un palco di 40 metri, meno facile farci suonare la Dave Matthews Band, dopo 11 anni di assenza italiana (praticamente da sempre). Ecco alcune sose sparse catturate quella sera.

Molti concerti rock li ricordi per quel mix di musica, luci, video e arte scenica spicciola che ti fanno dire "che spettacolo!". Uno show. No, DMB Live a Lucca è stato solo ed esclusivamente musica. Nessuno dei circa 7-8 mila convenuti sembrava aspettarsi altro.

E' bello essere ai concerti, gardarsi intorno e riconoscersi, a prima vista, negli occhi dei tuoi sconosiuti vicini, restituisce una gradevole sensazione di pace.

Il concerto inizia (Don't drink the water) alle 21.15 che è ancora chiaro, e già dai primi 2-3 brani si intuisce qualcosa di speciale: questi qui potrebbero suonare anche la-bella-gi-gu-gì e io non vorrei altro. Ma per fortuna non dobbiamo sperimentare, perché anche le canzoni meno "belle" da studio, qui sono f-a-n-t-a-s-t-i-c-h-e.

Non c'è scenografia, solo le luci, ma niente di che, solo il fondale di un palazzo neoclassico, ben acceso, nessuno sul palco ha niente di speciale (tipo "cosa mi metto stasera?"), semplicemente sono lì e suonano. E si divertono, eccome, sono come bambini! Sembra non aspettassero altro che un pubblico meraviglioso come noi.

Davanti a me una giovane coppia di sposi americani, con bambina di 7-8 anni comprensibilmente indifferente a quello che le succede intorno. Loro le conoscono tutte, cantano, si innamorano ancora.

Finisce, dopo poco più di due ore, la setlist ufficiale e se ne vanno. Ma no, era una finta! Tornano fuori e infilano altri 90 minuti di concerto. In tutto fa praticamente 3 ore e venti di live pause comprese. Ma non di concertino, no, di super-musica, dove ogni brano ha tanta forza dentro che potrebbe essere l'ultimo e così loro suonano, come se fosse l'ultima volta, ma no, si va avanti, avanti ancora, e giù musica.

Quasi 3 ore e mezza durante le quali, senza rendermene conto, non sono riuscito a stare fermo un minuto di fila. Semplicemente impossibile: l'emozione è talmente forte che devi stemperarla "facendo qualcosa", e allora salti e balli, scuoti la testa, alzi le mani, batti il tempo. Perchè se invece mi fossi fermato più di un pensiero, ad ascoltare l'emozione che saliva, mi sarei messo a piangere come un bambino di due anni. Non ero l'unico, e si vedeva.

In qualche modo finisce (Pantala Naga Pampa+Rapunzel), e il silenzio non arriva mai, la musica è ancora tutta dentro. Intorno a noi solo facce spiritate, siamo tutti inequivocabilmente dopati, con la faccia ebete e quell'espressione muta in cui i lati della bocca scendono e il labbro inferiore sale al centro, a dire "che figaaataa". Io, Trivigante e Trofimov non diciamo altro, se parliamo, per ancora un altro paio d'ore. Al parcheggio voglio dire "vado io alla cassa" e mi esce solo "che figaataaa".

Lucca ci regala un paio prati in cui sbrodolare i nostri corpi strafatti e riprenderci, dall'alto delle mura. Che posto fantastico per un concerto: musica e città, tutto vero, tutta roba buona.

Ho capito una legge fondamentale della musica: chiunque dovrebbe avere l'opportunità di andare ai concerti con gli amici più cari e condividere tutto, per almeno 24 ore.

Da quella domenica (sono passate 3 settimane) è solo faccia ebete e DMB Live nelle orecchie. Che figaataa.

[la foto è di DjEnzio. Grazie!]

domenica 22 marzo 2009

Ancora (parole e) musica

giudizio: abbasso Sarkozy, vive la France!
Ho da poco scoperto un e una cantanti-autori francofoni che mi hanno folgorato.
1. Maxime Le Forestier. Canta dai primi anni '70, tra l'altro anche Brassens, e mi piace soprattutto ai due estremi della sua tavolozza: quello tenero-ironico, in cui racconta, per dire, ("Fontenay-aux-roses") cosa pensa spiando ogni giorno le ragazze di un collegio "à l'angle de ma rue", e confessa alla fine di essersi, per la prima volta, "innamorato di tutto un pensionato". E quello politico: corrosivo e impietoso. Ma, ad esempio in "Parachutiste" (tipica, miserrima parabola umana e professionale del "parà"), al riparo dall'enfasi sotto una struttura minimale, uno stile a bassa voce; e con quella parola, parachutiste, ripetuta alla fine di ogni breve strofa con apparente leggerezza, al più blandamente canzonatoria... ma vetriolo puro. (Entrambe in "Essentielles", del 1979).
2. Linda Lemay, canadese del Québéc. Una in cui gli estremi mi sembrano schizzare ad una potenza inimmaginabile. Esempio, il CD "Live" del 1999, che contiene "Chérie, tu ronfles", quasi cabaret su un marito che russa... insieme a "Ceux que l'on met au monde", una roba incredibile, una mazzata da tramortirvi mentre non riuscite a trattenere le lacrime, sul tema della nascita di un figlio con handicap mentale: assolutamente più esaustiva, secondo me, di un trattato sull'argomento. E di temi che hanno l'impatto di un pugno nello stomaco, per come sono affrontati e approfonditi (approccio totale "testa e anima", e poi via, senza freni e senza reticenze), ce ne sono abbastanza da stordirvi anche in "Les lettres rouges", del 2002. Ma pure qua non manca nè l'ironia, nè la comicità, vedi "J'aime la pe^che" ("e" molto larga e altrettanto lunga, da irresistibile presa in giro), o "Bande de dégonflés" e "Bande de dégonflantes", disamina, se così si può dire, di ben circostanziate disfunzioni erettili maschili, e della loro possibile causa. Sempre con deliziosi intermezzi parlati in cui è impossibile restare seri (anche questo infatti è live: un concerto all'Olympia). Poi però, e se siete seduti è meglio... arrivano: "Maudite prière", sull'aborto: mon Dieu j'suis dans la merde, j'ai besoin de vous tout de suite: pourriez- vous me faire perdre le bébé qui m'habite (e poi si scopre che ha già tre figli, ed è depressa...). "La centenaire": j'ai eu cent ans hier, mais qu'est-ce qu'elle fait, la mort..? (come dire: ho compiuto cent'anni, sarebbe ora che la morte arrivasse, non desidero altro, ormai... e ve ne spiego tutti, ma proprio tutti i perchè, mentre vi racconto la mia lunga vita. Morale: "je suis encore avide, mais il n'y a plus rien à mordre"). "Donnez-lui la passion": straziante preghiera della Lemay, ogni volta che sale su un aereo, nel caso dovesse morire quando la figlia è ancora piccola; ovvero la passione come requisito indispensabile per crescere, per vivere... e come darle torto. "Va rejoindre ta femme", e questa è una gragnuola, di pugni allo stomaco: una prostituta lo dice al camionista che è appena stato con lei. Un altro trattato. Che di notevole ha, ancora una volta, l'assoluta e direi esaustiva dovizia di particolari, non importa quanto scabrosi, propri del tema; resi però con assoluta sobrietà, e anche qualche qualità -secondo me- letteraria. "Les deux hommes" parla invece di una coppia di uomini che adotta un bambino, e anche di questa strana e difficile situazione mi pare che i possibili elementi ci siano tutti; ma vissuti, non solo orecchiati o pensati. Lascio per ultime alcune frasi più leggere ma ugualmente significative, credo, tratte qua e là da "Un homme de 50 ans" (quello che lei sta cercando) e tradotte più o meno in italiano: cerco un uomo di 50 anni che ha sognato tutto, e tutto ha perduto... che ha avuto tutto, e tutto ha restituito... un uomo che è già piaciuto, e ha già deluso... che è sopravvissuto... che ha già fumato tutto, bevuto tutto, conosciuto tutto di una donna nuda... un uomo che sa quel che non può dare, e quel che il tempo non può guarire... un uomo che la verità non fa più fuggire... che ha il coraggio di non mentire su quei fottuti dei suoi sentimenti... cerco un signore di 50 anni che non si prende più sul serio... un uomo non troppo solido, perchè tanto nessuno lo è, mai... E per finire non posso tacervi che quest'enciclopedia vivente dei sentimenti, delle voragini e delle risate, oltre che una bellissima voce ha pure un viso incantevole, e degli occhi da... mazzata finale. Acqua freschissima e braci ardenti, insieme.
Grazie Le Forestier, grazie Lemay. E grazie a Michel e a Sophia per avermeli fatti conoscere.

mercoledì 11 marzo 2009

Max Gazzé Live. Bologna, teatro Arena del Sole 9.3.2009

giudizio: superlativo assoluto

Il Massimiliano Gazzè è artista eclettico e bravo, è uno davvero capace sia di musicare sia di scrivere e per quanto mi riguarda L'aratro e la radio è probabilmente il miglior disco del 2008 (di sicuro è quello che ho ascoltato di più).Lunedì scorso a Bologna Gazzè ha fatto partire un mini-tour sperimentale, con uno spettacolo davvero (davvero) bellissimo. Vabbè, c'è la "multimedialità" (alcuni video interessanti e curiosi con cui ogni tanto la musica interagisce), ma il valore del tour è soprattutto nella musica e nella combinazione dei pochi ma superbi elementi: Gazzè al basso e voce, un batterista bravissimo con una batteria completata da decine di cosi da suonare, un tastierista pazzesco che fa di tutto e di più (basi, tappeti, riff, vocoder, e tutto lì), un quartetto d'archi bravissimi e una polistrumentista (glockenspiel e flauti).

Ogni elemento sul palco è quasi autonomo e ben distanziato dagli altri (ah, tra l'altro: basso al centro davanti agli archi, batteria a dx e synth a sin) e anche il suono ne esce poco impastato e volutamente individuabile (vedi qui). La batteria ha sempre una potenza incredibile, il basso ovviamente c'è (ed è meraviglioso) ed è lui che costruisce tutta l'armonia, gli archi sostituisccono (e bene!) le elettriche, le basi synth non solo non si fermano mai, ma portano la voce dove a volte non arriva, e trasfigurano i pezzi, li espandono, rendono possibile un mondo immaginario che si sviluppa tutto lì, in pochi metri di palcoscenico di teatro. Ottimo l'uso delle luci, molto presenti ma mai stridenti. Un'acustica da sballo. Perfetta la sequenza di brani (purtroppo sono pochini, per stessa ammissione del simpatico e affabile Gazzé: devono ancora provarne molti), che disegna un percorso ben costruito e calibrato, che inizia con armonie fluide e ritmi lenti (L'ultimo cielo, Raduni ovali) per esplodere in un post-punk elettro-acustico (vuol dire un cazzo: Favola di Adamo ed Eva, Una musica può fare) pieno e potentissimo. C'è spazio anche per tre brani in solo del grande Megahertz (l'uomo synth), belli e potenti. In uno un'affascinante voce bambina dice "C'è qualcuno qua fuori. Mi porti un bicchier d'acqua?" e lui risponde "E' contaminata!".

Le invenzioni del Gazzé e dei suoi musicisti, riservate al tour e che nei dischi non si trovano nemmeno lontanamente, sono infinite e sublimi, ce n'è sempre una ad ogni angolo. E alla fine del concerto tutto puoi pensare, tranne di aver sentito una qualsiasi "esecuzione" degli stessi brani che già conosci: al contrario, ricordi solo un grande spettacolo fatto di musica. E niente più. Musica pura, perfetta e irripetibile. Max Gazzè è un genio assoluto e questo spettacolo lo conferma.


Sarà anche a:  28 marzo 2009 MILANO (Teatro Ciak). 4 aprile 2009 BARLETTA (Paladisfida Borgia).  6 aprile 2009 FIRENZE (Teatro Puccini).  18 aprile 2009 ROMA (Auditorium Conciliazione).Vai a vederlo, costa poco e ne vale assolutamente la pena (mi ringrazierai). Ora ti saluto è tardi vado a letto. Quello che dovevo dirti io te l'ho detto.

mercoledì 25 febbraio 2009

I Tardigradi

giudizio: dell'inutilità dell'umano affannarsi
I Tardigradi sono degli "invertebrati protostomi celomati", ovvero degli animaletti grandi tra 1 e 15 decimi di mm. Non hanno apparato respiratorio, quello digerente è molto semplice, il loro sistema nervoso è basato su pochi gangli, e percepiscono il mondo esterno attraverso alcune cellule fotosensibili, e altri peduncoli fannno da organi tattili e chemiorecettori. La loro apparenza è abbastanza orrida (per approfonddire: http://www.tardigrada.net e http://tardigrades.bio.unc.edu/), ma non siamo qui per giudicarne l'aspetto esteriore, perché come scoprirete leggendo, le loro doti vanno molto oltre! I Tardigradi Sono stati congelati a -20° dallo scopritore, Lazzaro Spallanzani, che nel 1776 si stupiva di come alla fine del processo riprendessero vita. Ma poi si è scoperto che questi animaletti sono abituati a risvegliarsi dopo anche 120 anni passati nel permafrost, mica bruscolini... Così nel 1950, quando le capacità refrigeranti sono diventate maggiori, Paul Bequerel li ha tenuti per diversi giorni a -200°, e poi nell'elio liquido a -270°. Alla fine tornavano, tutti, vispi come prima.
Hanno provato a disidratarli completamente, cioè li hanno "liofilizzati". e tenuti per qualche anno lì, ma niente, appena gli si dà un po' d'acqua ecco che si riprendono. Non c'è verso: non muoiono.
Pertanto ci ha provato Raoul-Michel May. Per vincere la guerra si è messo d'impegno e li ha bombardati con un cannone a raggi X, con una dose (570.000 rad) 250 volte superiore a quella letale per qualsiasi mammifero (2.000 rad). Niente da fare, sempre vivi. Fino a quando Kunihiro Seki ha detto basta ed è riuscito a "schiacciarli" (meglio sarebbe dire "ipecomprimerli") con una pressa, a qualcosa come 6.000 atmosfere di pressionoe. Ma questi stupidi organismi pluricellulari vivivono normalmente anche a 6.000 metri nelle profondità oceaniche, a 600 atmosfere. Ma 6.000 sono un'enormità, è come se Maiorca fosse tornato vivo e arzillo dalla fossa delle Marianne (11Km). Ancora niente di fatto, nonostante le 6.000 atmosfere vincono loro: vispi come prima (si fa per dire: sono stati così battezzati da Spallanzani perchè molto lenti nell'incedere). Ok. Ora ci avete rotto, maledetti tardigradi! E così è nato il piano più diabolico. Altro che "esperimento scientifico": si è trattato dell'ultimo definitivo tassello necessario per capire come poter ucidere questi organismi, una "soluzione finale". Perchè apparentemente non esistono cause esterne in grado di annientarli. E così li abbiamo (gli scienziati dell'università Kristianstad) disidratati, messi su una navicella spaziale (la gloriosa FOTON-M3), e una volta in orbita li abbiamo buttati fuori. Nel vuoto cosmico, vuoto pressoché assoluto. E per di più, li abbiamo lasciati là fuori come tanti piccoli Major Tom per 10 giorni, perfettamente esposti alle radiazioni solari (senza creme filtranti o atmosfere terrestri di sorta a proteggerli: mille volte peggio che all'equatore). Immagino sia chiaro in quali condizioni abbiamo dovuto portare questi alieni per poterli sconfiggere. E infatti sono morti. Finalmente, doktor, abbiamo dimostrato che nessun animale (muschi e licheni si) riesce a vivere nello spazio! "Herr Professor... abbiamo un problema..." Reidratati con una banale goccia di acqua, tre esemplari della specie Milnesium tardigradum sono "sopravvissuti". Non solo, una volta risvegliati hanno pure ripreso a riprodursi normalmente. Come se niente fosse... beati loro
Questi esseri non hanno il dono della resurrezione (che pare sia attribuito invece ad una medusina già scoperta da un italiano 10 anni fa), ma sono portatori di una dote ancora più ammirevole, secondo me: il dono di fregarsene di tutto quello che viene inflitto loro. E' molto più di un security muscoloso con la maglietta "Non rompermi i coglioni", è come una versione zen di Superman ridotta a un mm di lunghezza. E alla fine i tardigradi dimostrano con la loro banale e neutra esistenza l'inutilità della ricerca (desiderio tutto umano) dell'annientamento di altri esseri viventi.

giovedì 19 febbraio 2009

il numero 23.

giudizio: verovero.
Nel film, Jim Carrey trova un libro che svela i poteri misteriosi del numero 23, che si annida ovunque e condiziona la storia, la vita, i gesti e i pensieri degli uomini. Il protagonista legge il libro e flippa del tutto, scoprendo che i cromosomi umani sono 23 per ogni genitore, che il suo numero di matricola in ospedale è 85307: 8+5+3+0+7 = 23, che guarda sempre l'orologio alle 11:12 (11+12 = 23) e così via. Va giù di testa, tenta di assassinare qualcuno, scopre che suo padre era di Cosenza e che nei pressi di casa sua non c'è nemmeno un fornaio comodo.
Ma che stronzatona, mi son detto.
Poi, nei giorni successivi, ho riflettuto un po': 23 è la mia età, come 23 è il mio voto di maturità. Coincidenze, mi son detto, non spaventarti. Poi, però, è andata sempre peggio: ho contato i miei capelli e sono 23; ho una Renault 5, cioè 2+3; il mio codice di avviamento postale è 00153, ovvero 23 più centotrenta; Barack Husein Obama è composto di 6+6+5 lettere, cioè 23; pasqua sei anni fa è caduta il 23; io una volta ho portato il 23 di scarpe; oggi è il 19/2/2009, cioè 19+2+2+9=32, ovvero 23 al contrario; la mia fidanzata ha 92 anni, cioè il quadruplo di 23; la mia radio stamane era sintonizzata sui 23mhz; sei io avessi altre tre dita, ne avrei 23; per andare in stazione, devo prendere prima il 14 e poi il 9: 23, ovvio. E continua così, senza fermarsi. State attenti.
Ora vivo nel terrore.

martedì 20 gennaio 2009

Yes, we can. Si, noi cani

Giudizio: dalle stars alle stalls
Benvenuto, Mister President. Qualcosa è cambiato davvero (speriamo continui), ma che emozione... Inrecensibile.
La notizia è che dopo che il milione e mezzo di persone se ne sono andate, smontando il palco del giuramento di Obama davanti al Congresso è stato ritrovato un appunto del nuovo Presidente degli Stati Uniti (non si capisce se destinato al discorso o al programma) che vi riporto:
"[...] pride and responsability of the United States: the first goal is to restore Democracy and Justice:
1. Close Guantanamo detention camp
2. Troops out of Iraq
3. Invade and occupy Italy"

 
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