giovedì 21 febbraio 2008

ma non faceva il poeta?

giudizio: sarà una campagna elettorale lunghissima.
Pochi minuti fa, l'uomo-scorreggina Bondi ha detto testualmente: "I candidati alle elezioni nel PDL non debbono avere procedimenti penali in corso, tranne quelli di origine politica".
Svolgimento: non vuol dire assolutamente, incontrovertibilmente, stupefacentemente, nulla. Nulla dal punto di vista penale, nulla dal punto di vista etico, nulla dal punto di vista linguistico (concordanze alla carlona, perlomeno). Politicamente sì, qualcosina significa, e tutti abbiamo chiaro cosa. Infatti, detto questo, anche Giuda sta meditando la candidatura al Senato.
L'unico motivo per cui cito l'homo miserrimo è questo: tempo due settimane e Veltroni ha sparigliato tutte le carte, ha rimesso in piedi il tavolo e a destra sono costretti a rilanciare di continuo, facendo fare i distinguo a Bondi, povero mona. Checché se ne pensi di Veltroni ora e in futuro, questa volta sciapò.

martedì 19 febbraio 2008

indice di gradimento

giudizio: vittoria senza discussioni nella meteorologia.
Il sole, inutile dirlo, fa godere grandi e piccini. La pioggia ha i suoi estimatori, specie se la si osserva al caldino e al riparo. La nebbia, uguale, ha un suo fascino, tra i poeti e gli osservatori. Il vento scombussola tutto e, in generale, è bello che ci sia. La neve riscuote un successo indiscusso. La foschia mattutina o serale può essere interessante. Le aurore boreali suscitano ammirazione. Gli arcobaleni accendono la fantasia di chiunque, anche senza la pentola di monete d'oro. I tornado e i cicloni, al di là dei danni, sono affascinanti e colossali da vedere. E la grandine? La grandine rompe i coglioni a tutti. A tutti, anche a chi non è un agricoltore o un concessionario di auto.
Si decreta, dunque, dopo breve dibattito, la concorde vittoria della grandine su tutta la linea, senza incertezze.

lunedì 18 febbraio 2008

la neve dove uno non se l'aspetta

giudizio: περβακκο!
Sotto la pergolina, con il bicchiere di ouzo nella destra e la fetta di feta nella sinistra, discorrendo di filosofia, ovvio, i partenonidi si sono scoperti sotto la neve, ieri. Ed hanno esclamato di certo: "περβακκο! καζζαρολα!".
Che meraviglia quando nevica dove non dovrebbe, che per due centimetri di neve le città vanno in tilt, le scuole chiudono per sempre, il governo decreta lo stato di emergenza, le persone si scoprono sprovviste di mon-boot infradito ma escono tutti di casa lo stesso, per vedere da vicino la neve. E noi, lontani, tutti qui a fare: "oooh, nevica ad Atene!".
Nei nostri bar, gli uccelli del malaugurio attaccano la tiritera che il clima sta cambiando (ma non doveva fare caldo?), ma nulla capiscono, è solo neve e serve a fare le palle, non tutti ce l'hanno. Tutti prima o poi vedono piovere dal cielo la pioggia, il sole, la grandine, le rane, gli aerei da caccia americani, i satelliti russi, ma la neve non è detto. Ed è fantastico, e appropriato, battere le mani contenti e dire: "oooh, nevica ad Atene!". Viva la neve dove uno non se l'aspetta, viva tutte le cose che uno non si aspetta, viva il disordine e viva le sorprese. Che, in questo caso, si piglia la slitta e quasi ci si scorda dei colonnelli.

mercoledì 6 febbraio 2008

cosa usiamo come slogan?

giudizio: can't do any of that / with out a hat.
Era il duemila, c'era il congresso della Quercia e funestava i giornali e i manifesti l'«I care» del segretario Veltroni, a metà tra un sapone intimo e un kennedysmo d'accatto. Molti commentatori dissero la propria, uno per tutti Serra in Lenin o Lennon? e ci si divertirono parecchio. Poi andò come andò. Oggi, otto dico otto anni dopo, Veltroni storna il «Yes, we can» di Obama, che nella versione nostrana starebbe per «possiamo vincere» e non, invece, "ehi, possiamo cambiare le cose, il mondo, le persone", troppo americo-democratico, forse. Inventare, mai.
Comunque, i due termini lessicali e temporali fanno venire in mente alcune considerazioni sparse. Primo, ci sono voluti otto anni, ma c'è riuscito, è finalmente passato dal singolare al plurale, sempre prima persona, così che adesso ci sentiamo inclusi (quasi) tutti. Secondo, se otto anni fa lo pigliarono abbastanza per il culo, me compreso, per l'anglofilia del tutto superflua, oggi nessuno ha fiatato, o tempora o mores. Terzo, fu allora che nacque l'idea di buonismo veltroniano, non del tutto campata per aria, idea che oggi pare davvero dissolta nel senso di crisi collettivo, che bada a sopravvivere e a farcela ("we can, dai che ce la"). Quarto, Veltroni pare un appassionato delle mezze frasi, cui si può aggiungere di volta in volta l'oggetto o il verbo: «Io ho a cuore» la fame nel mondo, tua mamma, il destino delle api, il funzionamento delle siviere nelle acciaierie etc.; oppure, «Sì, noi possiamo» vincere, perdere, pareggiare, spaccarci la faccia, andare al tuo funerale, cioccolare la città etc. Trucco da politico scaltro? Boh, avesse coniato un "Yes, we can smerd Berlusconi", magari andava meglio, chissà. O un funereo "Yes, we can-dle in the wind", mah.
Comunque sia, sono giochetti, si tratta di trovare il modo meno masochista per arrivare al 14 di aprile, possibilmente ancora in piedi. Purtroppo per me, da quando ho sentito il «Yes, we can» di Obama, non riesco a non pensare alla canzone «Yes, we can», che diceva che potevi forse farti un bagno, andare in bicicletta, parlare ad alta voce, farti un enorme sandwich nel bel mezzo della notte, ma di certo non senza un cappello («But you can't do that / No you can't do that / No you can't do any of that / Without a hat»), se ci penso mi fa ancora ridere.
Forse ci serve un cappello, forse a Veltroni serve un cappello, io penso serva sempre un cappello. Ce la faremo? Chissà, comunque, la canzone era dei Muppets. Speriamo non lo scoprano.

 
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