lunedì 25 agosto 2008

Maratoneta

Giudizio: inarrestabile
Hai perso.
Non puoi illuderti, non ci sono altri finali, non inventare, hai perso.
Hai iniziato a perdere quasi due ore fa. Hai iniziato perdendo la sensibilità. Prima alle dita dei piedi, poi agli stinchi, ora anche alle dita delle mani. Non sentire il dolore ai piedi può essere un vantaggio, può portarti più avanti, più degli altri. Poi hai perso anche il ritmo, il glicogeno, la capacità di sentire il tuo respiro, hai perso la capacità di capire il tuo battito, di interpretare il significato vero delle letture sull'orologino che hai al polso, o quello che ti dice qualcuno (un volto amico?) dal lato del percorso. Realizzi che qualche minuto fa (o qualche quarto d'ora fa) hai anche perso il rifornimento...
Perso. Ora sei davvero perso. Non sai nemmeno dove devi davvero andare. Avanti, ancora avanti, è l'unica cosa che sai fare, adesso, da sempre. Correre.
Un suono ovattato che dovrebbe venire dalle tue orecchie ti sta riempiendo la testa, senti solo un brusio sordo, un tuono lontano dentro di te, come un temporale che non nasce mai, e non vuol nemmeno morire, neppure in mezzo alle voci lontane del pubblico che ti scorre a un palmo, di fianco, apparentemente divertito (?) dal tuo passare. Non senti più nulla, solo questo ovattato silenzio ammutolito, unico sintomo della tua trance agonistica.
Il vuoto, dentro e fuori da te. Vuoto. Corri. Senza sensibilità.
Poi si fa fresco. Ombra, tanta ombra. Saliscendi. Silenzio. Più silenzio. Singole voci, di qua e di là, ma manca il pubblico. È buio. La fine.
Andato. Sei finito, in un tunnel che ti porterà al coma. E lo stai capendo solo ora... Sei perso. Per sempre.
Dietro il tunnel uno stadio gremito, pieno di persone stipate fino all'orlo, sta aspettando in un silenzio irreale, sospeso e rispettoso, l'ingresso del primo maratoneta, per accompagnarlo nel suo ultimo giro di pista. 500 metri. Gli ultimi cinquecento metri.
Al suo ingresso, il silenzio è al culmine, puntiforme. E fatti i cinque passi in uscita dal tunnel, sulla corsia che porta alla pista olimpica, un boato immane, un'esplosione umana e primordiale rompe quel silenzio irreale.
Ti risveglia, ti dice “no, non sei perso, sei arrivato fino a qui!”. E ti piomba addosso tutto il peso di 42km percorsi metro dopo metro. Un macigno, una mano enorme sembra volerti schiacciare sul tartan, per non farti arrivare alla fine. Proprio ora che manca così poco... Ma l'emozione è troppa. Sei stato insensibile, perso, per decine di chilometri, e ora che ti mancano meno di 500 metri, un banale giro di pista (roba da fighetti dela velocità), questa fresca consapevolezza ti sta facendo rallentare a vista d'occhio. Sei perso, un cavallo scosso, sai che non puoi arrivare alla fine. Hai perso.
Ma in quel boato irrequieto e interminabile trovi (davvero? Ne sei sicuro?) l'ultimo barlume di forza, un alito di vento minimo, che si appoggia su una vela flaccida e ti trasfigura, per farti arrivare, è vero!, davvero alla fine. Colmi quella distanza, un ultimo passo dopo l'altro, e non sai più chi sei: se importasse qualcosa, hai gli occhi a mandorla, la pelle scura, chiara, sei americano, africano, europeo, italiano, etiope, sei il campione, sei uno sconosciuto, hai le scarpe scelte dallo sponsor, corri a piedi nudi, sei lucido, sei fatto, sei un volto noto, sei l'ultimo, sei il primo. Sei uno dei tanti. Sei solo un'emozione immensa.

domenica 24 agosto 2008

Offlaga Disco Pax dal vivo

giudizio: mia figlia la chiamerò Tundra.
22 agosto, festa di Radio Onda d'Urto, gli ODP e io. Esborso: minimo, cinque euri. Formazione: cantante, chitarrista e bassista/tastierista/campionatore. Nessuna scenografia, un leggio e qualche feticcio qua e là. Concerto topograficamente sensato, gli Offlaga DP si avvicinano a Offlaga.
Musicalmente inesistenti, il senso di tutta la faccenda sta, ovvio, nei testi, bisogna concentrarsi e seguire arrendevoli le storie, ad alto tenore politico, veri e propri racconti conclusi a volte magistrali a volte più intimini e ritorti. In genere, eccellenti. Domanda retorica: chi ha la buona volontà, oggi, di cantare contro i sentimenti di Francesca Mambro ("Giusva era il ragazzo più sensibile che avessi mai incontrato"/Che razza di tipacci fossero gli altri ragazzi che aveva frequentato/non ci è dato sapere), o celebrare un ventralista russo (La vittoria di Vladimir fu un eroismo da Terza Internazionale/una misura strappalacrime ottenuta dall'ultimo grande/ventralista della storia) o, ancora, certi commerci giovanili mai del tutto tramontati (un pompino in cambio di un Toblerone/i condomini I.A.C.P. negli anni '80 di una città filosovietica riservavano economie alternative molto convincenti)? Poiché il tempo passa e l'URSS si fermò nel 1991, gli ODP appaiono un pochino bolsi in quanto a età e adipe, la riga a sinistra del cantante suscita la stessa irritazione che provai per il mio vicino di banco pluri-bocciato e omnisciente, l'età media del pubblico fa sì che solo io e un altro ridiamo sentendo il verso "Un ricordo dell'amore sconfitto marca Defonseca". Da antologia e da mandare a memoria "Onomastica", lettura dei nomi della guida del telefono di Parma, tra cui spiccano Mosca, Tundra, Inglis, Yuri e una miriade di meraviglie. Divertissement da trivial in edizione vetero-comunista? Può essere, datevi la risposta da soli. Leggete questo verso ("Il desiderio del caparbio crostaceo di uscire dal suo lago per combattere il pensiero dominante è infatti una delle forme più originali di resistenza conosciute, un simbolo della lotta per l’autodeterminazione contro un sistema che chiama ambientalismo quella che in realtà è un’imbarazzante difesa degli status quo") e osservate le vostre reazioni. Io ho riso, ma mi ha toccato nel vivo.

martedì 5 agosto 2008

Una giornata particolare

Giudizio: applauso

Gli ingredienti sono sempre gli stessi, il 2 agosto a Bologna, più o meno come ogni anno in altre sciagurate piazze italiane.

Se il 25 aprile finisce che piove quasi sempre, il 2 agosto c'è sempre caldo, un pesante caldo estivo, che toglie il respiro e fa grondare. E alla stazione continuano ad incrociarsi il popolo dei vacanzieri in transito, chi aspetta un parente, gli anziani persi in cerca del binario.

Il 2 agosto, a Bologna, arriva un momento che prende tutto questo e lo congela, ti tiene inchiodato lì, a nonvedere (ma proprio con i tuoi occhi) quello che è successo e che, sempre, lascia tutti nello stesso modo: soli.

Gli ingredienti sono sempre gli stessi: il caldo, chi transita, chi si appoggia alla bicicletta per chiacchierare un po', le bandiere, i “per non dimenticare” e i “perché non si ripeta”, il sindaco, i gonfaloni, il rappresentante di un governo poco amico (e relativi fischi, e mezza piazza che se ne va, compostissima, alle sue prime parole, una città che continua a muoversi intorno, gli occhi lucidi di qualcuno che ascolta chi era lì quel 2 agosto, la voce dei familiari, di chi ha continuato nonostante tutto, da solo.

Il 2 agosto a Bologna tutto questo viene congelato, nel trucido caldo del piazzale delle Medaglie d'oro, per un minuto. Silenzio.

Un silenzio vero, intenso, civico e profondo, il silenzio di una città, concentrato nel buco nero della Stazione di Bologna. Un minuto in cui succede che si sta fermi, e ci si stringe insieme. Chi da solo, chi in compagnia, chi in gruppo. Chi passa per di là si ferma, scende dalla bicicletta, si congela. Se qualcuno fa brusìo molti si sacrificano e assolvono al dovere di richiamare al silenzio, chiedendo il rispetto di quel vuoto.

In quel minuto annunciato dal fischio di una locomotiva, tutto si ferma, anche il battito cardiaco dei presenti. Affiorano ricordi, irrompono immagini terrificanti, provi odio per chi ha voluto questo minuto di silenzio, alle 10.25. Senti di tutto, dentro, in quel minuto: il botto, il silenzio che lo rende vero, le urla, le sirene, le grida dei soccorritori, chi chiede il silenzio per sentire (forse!) un respiro sotto le macerie, il suono del sangue che sgocciola dagli autobus usati come ambulanze, senti il sudore dei pompieri e di chi, dentro questo caldo, tira fuori chi non c'è più, lasciandoci il vuoto di un edificio scomparso.

Senti tutto, anche se non c'eri. È impossibile evitare 85 morti, il 2 agosto 1980, a Bologna, quando sei caduto dentro a questo silenzio.

Un minuto di silenzio, e quando finisce (fischio di locomotiva) capisci che tutti, intorno, ogni presente, ha vissuto quel minuto, l'ha passato come te, senza sentire più il caldo e rapito dalle stesse immagini. E allora, al sessantaseiesimo secondo si crolla, sotto il peso di un minuto di silenzio. E irrompe un applauso, L'Applauso. Enorme, stonato (applaudire chi? cosa?), lungo che non finisce più, umano e necessario, un applauso civile. Non si dovrebbe applaudire mai, si dice, ai funerali, ed è vero. Ma qui anche se fosse un funerale, lo senti diverso. Arriva come una liberazione inutile ma inevitabile. Non se ne va, quel minuto, non se ne esce mai per davvero.

Da quando ci sto, cerco di esserci sempre, in questo giorno, a Bologna.


 
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