mercoledì 6 febbraio 2008

cosa usiamo come slogan?

giudizio: can't do any of that / with out a hat.
Era il duemila, c'era il congresso della Quercia e funestava i giornali e i manifesti l'«I care» del segretario Veltroni, a metà tra un sapone intimo e un kennedysmo d'accatto. Molti commentatori dissero la propria, uno per tutti Serra in Lenin o Lennon? e ci si divertirono parecchio. Poi andò come andò. Oggi, otto dico otto anni dopo, Veltroni storna il «Yes, we can» di Obama, che nella versione nostrana starebbe per «possiamo vincere» e non, invece, "ehi, possiamo cambiare le cose, il mondo, le persone", troppo americo-democratico, forse. Inventare, mai.
Comunque, i due termini lessicali e temporali fanno venire in mente alcune considerazioni sparse. Primo, ci sono voluti otto anni, ma c'è riuscito, è finalmente passato dal singolare al plurale, sempre prima persona, così che adesso ci sentiamo inclusi (quasi) tutti. Secondo, se otto anni fa lo pigliarono abbastanza per il culo, me compreso, per l'anglofilia del tutto superflua, oggi nessuno ha fiatato, o tempora o mores. Terzo, fu allora che nacque l'idea di buonismo veltroniano, non del tutto campata per aria, idea che oggi pare davvero dissolta nel senso di crisi collettivo, che bada a sopravvivere e a farcela ("we can, dai che ce la"). Quarto, Veltroni pare un appassionato delle mezze frasi, cui si può aggiungere di volta in volta l'oggetto o il verbo: «Io ho a cuore» la fame nel mondo, tua mamma, il destino delle api, il funzionamento delle siviere nelle acciaierie etc.; oppure, «Sì, noi possiamo» vincere, perdere, pareggiare, spaccarci la faccia, andare al tuo funerale, cioccolare la città etc. Trucco da politico scaltro? Boh, avesse coniato un "Yes, we can smerd Berlusconi", magari andava meglio, chissà. O un funereo "Yes, we can-dle in the wind", mah.
Comunque sia, sono giochetti, si tratta di trovare il modo meno masochista per arrivare al 14 di aprile, possibilmente ancora in piedi. Purtroppo per me, da quando ho sentito il «Yes, we can» di Obama, non riesco a non pensare alla canzone «Yes, we can», che diceva che potevi forse farti un bagno, andare in bicicletta, parlare ad alta voce, farti un enorme sandwich nel bel mezzo della notte, ma di certo non senza un cappello («But you can't do that / No you can't do that / No you can't do any of that / Without a hat»), se ci penso mi fa ancora ridere.
Forse ci serve un cappello, forse a Veltroni serve un cappello, io penso serva sempre un cappello. Ce la faremo? Chissà, comunque, la canzone era dei Muppets. Speriamo non lo scoprano.

3 commenti:

siu ha detto...

Con il tuo post, caro Trivigante, mi sono trovata del tutto d'accordo, con un senso finale di ulteriore -ce ne fosse ancora bisogno- scoramento (chiamiamolo così).
Poi su
http://spogli.blogspot.com/
come quarto o quinto articolo ho trovato:
Repubblica 7.2.08
Walter all'americana "Yes, we can"
di Stefano Rodotà
e dopo averlo letto, non so esattamente il perchè (non sono molto in forma oggi) ma stavo un po' meglio.

gnappolo ha detto...

Grazie Siu, per l'iniezione di ottimismo e per aver scovato un ottimo Rodotà. Io mi sono sempre sentito "molto democratico ma talmente poco seconda repubblica", che in queste parole trovo un senso enorme ai tanti dubbi che ci stanno trapanando.
E' un'idea positiva e ottimista, ma anche concreta. Rivoluzionaria, ma anche riformista. Inizia una nuova stagione, ma anche si prosegue una lunga storia. Potessimo avere solo Walter, però, senza annessirutelli, prenderei il numerino, anzi sarei il primo della fila... ma non disperiamo, secondo me (non lo sto dicendo) si prendono un sacco di voti.

trivigante ha detto...

Concordo, e poi chissà mai, Rutelli l'hanno sbolognato a Roma (eeeh...), De Mita a rompere le palle ad altrui, se si riescono a silurare Binetti e Bobba, direi che siamo già a buon punto. E grazie a Siu per la dritta.

 
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