domenica 16 marzo 2008

pubblicità progresso

giudizio: il lato nobile delle jene?
Se lo scopo della pubblicità è di influenzare, in modo intenzionale e sistematico, le scelte degli individui in relazione al consumo di alcuni beni e all'utilizzo di alcuni servizi, ne consegue indirettamente che tale scopo viene perseguito a prescindere dal bene o dal servizio promosso, poiché diventano determinanti la tecnica, la struttura e i modi della comunicazione pubblicitaria. Che sono sempre gli stessi, in sostanza, sia che si pubblicizzi profumo per cani o villette a schiera sulla luna, e - in generale - tendono alla semplificazione, appellandosi a pulsioni elementari; estremizzando, Bernanos sosteneva che i motori di scelta della pubblicità sono semplicemente i sette peccati capitali. Non a caso, l'idea futurista di Marinetti, concreta e fascistoide, si adattava benissimo al concetto di pubblicità (sintesi, dinamismo, simultaneità etc.).
Lo stesso tipo di comunicazione pubblicitaria viene utilizzata anche nelle campagne di Pubblicità Progresso, il cui scopo è promuovere della comunicazione sociale in ambito morale, civile ed educativo, senza fine di lucro. Il che farebbe pensare a un nobile scopo e a un nobile risultato.
Ma così non è o, almeno, non del tutto. Pubblicità Progresso non è un sinonimo generico di "pubblicità sociale", ma è il nome di un'associazione (ora fondazione) che raggruppa praticamente tutte le agenzie pubblicitarie italiane, cioè le stesse che fanno comunicazione profit e si occupano di pubblicità in modo tradizionale, tra le quali Publitalia 80 e Sipra (cioè Mediaset e RAI, 90% del mercato pubblicitario). Ne deriva che l'idea di comunicazione e i mezzi espressivi che vengono utilizzati nelle campagne sociali sono sostanzialmente gli stessi utilizzati per vendere caffè o mutande. Ma se la riduzione, la semplificazione, il cliché e il luogo comune vanno benissimo per vendere un'automobile, non vanno altrettanto bene per promuovere comportamenti meritevoli e civili o per fare informazione disinteressata. Per esempio, la pubblicità progresso sull'AIDS del 1987 diceva testualmente "il virus si trasmette attraverso i rapporti sessuali e non i rapporti umani". Complimenti. Ovviamente, più l'argomento è complesso più la riduzione a pubblicità diventa difficile, capita quindi che una mente di pubblicitario, organizzata per vendere lattine di birra e parlare bene della diarrea, corra il rischio di non cogliere la differenza. Oppure, a volerla vedere del tutto nera, fare comunicazione sociale è un buon modo per promuoversi, marketing funzionale per guadagnarsi, di ritorno, contratti profit. Son sempre pubblicitari, in fondo.
In sostanza, recensisco con pollice verso la pubblicità progresso e condanno, insieme e in generale, la semplificazione affidata ai comunicatori, lasciando però un piccolo margine di credito in tutto questo, perché una tantum ci azzeccano davvero. Ecco due esempi: la migliore pubblicità progresso di sempre e una pubblicità progresso del tutto patetica, tra le tante.

2 commenti:

enriquez ha detto...

concordo con te sul giudizio sulla publicità progresso. Ammesso che una pubblicità abbia il potere di promuovere comportamenti virtuosi e non solo quello di stimolare un laconico buonismo che tanto piace a certe istituzioni, trovo che normalmente siano sostanzialmente scentrate rispetto all'obiettivo. Suppongo che sia dovuto al fatto che la leva dei 7 peccati capitali mal si attanaglia all'addentellato buonista-sociale. l'esempio che ho in mente è la campagna più riuscita di sensibilizzazione sull'aids, quella dove un sieropositivo con un alone fucsia fosforescente contagiava un altro individuo che a sua volta diventava un neon ambulante... di sicuro effetto immediato, televisivo, dinamico.... deleterio!

trivigante ha detto...

Avevo in mente anche io quella campagna pubblicitaria dell'alone. Mi sono astenuto dal citarla qui per il fatto che contiene alcune aggravanti e non fu una pubblicità progresso: fu realizzata dall'agenzia Armando Testa e commissionata dalla Commisione Nazionale per la lotta all'Aids presieduta dal ministro Carlo Donat Cattin, democristianazzo dei peggiori. Quindi, Ministero della Sanità e non un soggetto privato (PP). Lo stesso Donat Cattin che inviò a tutte le famiglie italiane una letterina in cui sosteneva che l'Aids non si prende conducendo una vita "normale" e che i preservativi non sono mica tanto sicuri. Ne conseguiva, nel ragionamento, che l'aids becca chi se lo va a cercare.
Il che ovviamente non toglie una virgola a quanto dice Enriquez, anzi; di sicuro ha centrato perfettamente il punto.

 
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